Archive for the ‘Cronache_Terrestri’ Category

note su crypto.cat

sabato, Agosto 11th, 2012

Pubblichiamo qualche link sul progetto crypto.cat e le discussioni relative in rete.

http://paranoia.dubfire.net/2012/07/tech-journalists-stop-hyping-unproven.html

Un articolo in cui piu’ che del progetto crypto.cat si parla di come venga trattato in maniera superficiale la questione dai media mainstream, in cerca di storie avvincenti da dare in pasto a un pubblico distratto

Questo di seguito e’ invece un post al quale ha risposto nei commenti nadim kobeissi, l’autore di crypto.cat.

http://thedod.noblogs.org/post/2012/08/04/what-ive-learned-from-cryptocat/

potete leggere il commento anche dal sito di kobeissi

Infine se siete interessati alle questioni tecniche relative allo sviluppo di crypto.cat potete seguire la discussione su github, dove risiede il repository del software

https://github.com/kaepora/cryptocat/issues

Nel commento di nadim si cita anche questo progetto che sembra a prima vista interessante http://www.w3.org/2012/webcrypto/

Commenti dal cile

domenica, Agosto 5th, 2012

Su cryptome.org e’ apparso un contributo dal Cile, che descrive i metodi di intercettazioni utilizzati in una grossa inchiesta che ha coinvolto piu’ di 200 persone e portato all’arresto di 14 attivisti, liberati solo quest’anno, senza piu’ accuse a loro carico, nel frattempo pero’ hanno fatto due anni di carcere.
L’articolo merita di essere letto

http://cryptome.org/2012/07/chile-comments.htm

La descrizione degli strumenti di indagine disegna una parabola ascedente in relazione al web.

Il materiale citato fino al 2010 comprende trascrizioni di telefonate e di chat su msn, screenshot di sessioni web ottenute da file temporanei recuperati dall’indagine forense, screenshot di account gmail crackati, un’analisi superficiale di alcuni siti frequentati dagli indagati, tra i quali nodo50.org, indymedia.org, riseup.org. In ultimo chat con Otr e mail cifrate con Gpg, che compaiono pero’ cifrate.
Dal 2010 fino ad oggi si nota una maggiore attenzione al web. Trascrizioni di chat su crypto.cat, accesso a piu’ di 20 account su gmail e altri su facebook, ancora chat con Otr e mail con Gpg, con annessa richiesta di aiuto all’Fbi per la decifratura. Un’analisi piu’ approfondita dei servizi di media “alternativi” utilizzati dagli indagati. C’e’ un analisi piuttosto approfondita di riseup.net.

Nel comunicato si ipotizza che le trascrizioni di chat su crypto.cat siano state possibili o attraverso la violazione fisica del server in un’azione simile a quello della nostra vicenda con aruba. Oppure attraverso qualche malware installato sul computer degli indagati, oppure in log recuperati da qualche sequestro. Noi crediamo che la versione malware sia la piu’ probabile in verita’.
Se non sapete cosa sia un malware potete leggerlo su wikipedia, in attesa di un prossimo articolo su cavallette, nel quale dettaglieremo la questione con tanti link. In questo caldo agosto dedicheremo inoltre diversi articoli sul tema e stiamo preparando una newsletter a riguardo per settembre.
L’utilizzo di malware a fine di indagini di polizia emerge infatti in diversi paesi. italia compresa.
L’intrusivita di questi sistemi dovrebbe quantomeno essere oggeto di dibattito pubblico, e non passare come una naturale estensione delle gia’ sufficientemente inquietanti e problematiche intercettazioni ambientali.

Intanto crypto.cat in questi giorni sta per approdare alla versione 2.0 del proprio progetto di cui potete leggere piu’ diffusamete qui

https://blog.crypto.cat/2012/07/cryptocat-2-deployment-notes/

Hope conference 2012

domenica, Luglio 29th, 2012

reportage su rainews24: hope conference di ny, 22 min.

http://www.rainews24.it/it/video.php?id=28881

contiene:
nona edizione di HOPE (Hackers On Planet Earth) conference tenuta a NY: Emmanuel Goldstein 2600, l’ex direttore della NSA William Binney
ora informatore parla delle intercettazioni totali, gli Yesmen e
l’hacking dei media (portavoce Dow Chemical sulla strage di Bophal alla BBC), Tim Pool livestreamer di Occupy e l’hack-tive-journalism, Cryptome e Wikileaks e il caso Bradley Manning, la Electronic Frontier Foundation che difende dal punto di vista legale i diritti in rete, la Free Sofware Foundation che supporta il diritto al software libero, gli oggetti “privacy enhanced” come un portafoglio che scherma gli RFID (trasmettitori radio contenuti nelle carte di credito e nei biglietti bancari), il TvBGone telecomando universale, le questioni di genere nella comunita’ hacker, ingegneria sociale. A un certo punto arrivano i russi.

Orizzonti di gloria

sabato, Luglio 28th, 2012

Traferito il 24 luglio Alberto, uno degli imputati condannati per i fatti di Genova 2001 , dal carcere di Rebibbia a quello di Capanne a Perugia. Nessuno era stato informato, solo oggi è arrivato un telegramma da parte sua, che annunciava dell’avvenuto trasferimento.

Per scrivergli :
Alberto Funaro
Casa Circondariale Capanne
Via Pievaiola 252
06132 Perugia

Riproponiamo qui l’articolo di wu ming con un consiglio: in molte citta’ nelle arene di cinema estive stanno proiettando Diaz, stampate il testo e andate a distribuirlo alle proiezioni. Noi lo stiamo facendo, lo stile del testo si presta, le persone sono interessate.

Genova 2001 e la sentenza 10×100 | Orizzonti di gloria

E’ chiaro che stanotte non c’è nessuna gloria. E domattina nessun orizzonte. Era antifrastico anche il titolo del film di Stanley Kubrick, uno dei più belli contro l’ottusità antiumana del militarismo. La trama è nota: durante la Prima Guerra mondiale, sul fronte occidentale, un inetto generale francese lancia un impossibile attacco contro una fortificazione tedesca. Le truppe francesi non riescono nemmeno a uscire dalle trincee, vengono falciate dalle mitragliatrici, ricacciate indietro. L’attacco è una catastrofe colossale. Per non passare da incapace, il generale addossa la colpa alla codardia dei suoi soldati e chiede che ne vengano fucilati cento, estratti a sorte. L’Alto Comando gliene concede tre. Tre capri espiatori, che pagheranno per tutti, anche se la colpa non è di nessuno, o meglio, è di chi stava in alto. Di chi ha voluto quella guerra.

La giustizia italiana, stasera, non è diversa da quella militare nel film di Kubrick (che si ispirava a un fatto realmente accaduto). Anche lì c’era un bravo avvocato difensore, che veniva sconfitto da una sentenza grottesca, quasi caricaturale per la sua assurdità.
La giustizia italiana ha deciso che cinque persone pagheranno per tutti. Altre cinque potrebbero aggiungersi. E così si ottiene il pari e patta politico con la sentenza sull’assalto alle scuole Diaz. Poco importa che le condanne dei poliziotti riguardino il pestaggio e il massacro preordinato di persone, per di più indifese, mentre quelle dei manifestanti siano motivate dalla distruzione di cose, di oggetti inanimati, in mezzo al caos generalizzato. Qualcuno di loro si becca dieci anni di galera.

Dieci anni. Quasi lo stesso tempo che è intercorso da allora. Nel frattempo le vite di quelle persone sono diventate chissà cos’altro rispetto a quei giorni. Nel frattempo i danni materiali alle cose sono stati riparati, le assicurazioni hanno risarcito, il mondo è cambiato. Nel frattempo sono scorse in loop su ogni canale di comunicazione, fino a diventare parte dell’immaginario collettivo, le immagini di cosa è stata Genova in quei giorni, del comportamento delle forze dell’ordine, del clima che si era creato. Nel frattempo sul G8 di Genova sono stati girati documentari e film, pubblicate decine di libri, scritti fiumi d’inchiostro. E dopo tutto questo, deve arrivare la sentenza che pretende di fare pagare il conto a dieci persone, metaforicamente estratte a sorte dal destino, per via di un filmato piuttosto che di un altro, di una foto scattata un secondo prima anziché un secondo dopo. I tre soldati del film di Kubrick.

Io ero a Genova nel luglio di undici anni fa. Ero dietro la prima fila di scudi di plexiglass in via Tolemaide, quando il corteo è stato caricato a freddo e asfissiato col gas, in un tratto di percorso autorizzato. Con alle spalle diecimila persone non era possibile arretrare, e l’unica soluzione per salvarci e impedire che la gente venisse schiacciata è stata respingere le cariche come si poteva, e alla fine, dopo il disastro, dopo la battaglia, dopo la morte, proteggere la coda del corteo che tornava indietro sotto i getti degli idranti. E c’ero anche il giorno dopo, insieme a tanti altri, a inerpicarci su per stradine e sentieri con gli elicotteri sulla testa, fino sopra la città, per riportare tutti alla base.

Io avrei potuto essere uno di loro. Uno di questi fanti estratti a sorte. Invece sono qui che scrivo, nel cuore della notte, incapace di dormire, già sapendo che domani andrà meglio, che dormirò di più, e che piano piano potrò concedermi il lusso di ridurre tutto a un brutto ricordo lontano. Loro no. Le vite che hanno condotto in questi undici anni si interrompono e Genova ricomincia da capo.

Questo paese fa la fine che si merita. A Genova nel 2001 manifestavamo contro il potere oligarchico dei grandi organismi economici internazionali. Pensavamo soprattutto alle fallimentari cure neoliberiste che il FMI imponeva ai paesi più poveri, devastando le loro economie col ricatto e strozzandoli col meccanismo del debito. Oggi quella cura tocca a noi. In Italia comandano i commissari non eletti della Banca Centrale Europea, e applicano la stessa ricetta a base di tagli alla spesa pubblica, il cui scopo in definitiva si riduce a un enunciato semplice: salvare i ricchi.

Avevamo ragione.
Abbiamo perso.
Il nemico si tiene gli ostaggi.

Fino a quando la marea non monterà un’altra volta.

Genova non finisce. Non per ieri, ma per oggi e domani.

domenica, Luglio 22nd, 2012

Genova non finisce. Non per ieri, ma per oggi e domani.

L’accanimento, si sa, non conosce fine.
Quello genovese dura da undici anni.
Undici anni e poi quello che si vorrebbe fosse l’atto risolutivo: la sentenza di condanna definitiva inflitta dalla Corte di Cassazione a dieci manifestanti. Una decisione emessa in un momento tutto particolare: mentre il modello neoliberista esplode nella più lunga crisi economica degli ultimi 40 anni e in tutta Europa si restringono gli spazi dei diritti conquistati e le espressione del conflitto.

I reati di “devastazione e saccheggio” li ereditiamo dal codice penale fascista ancora in vigore, un abominio giuridico utilizzato in maniera del tutto discrezionale e “politica” per infliggere condanne esemplari.
Condanne che qualcuno doveva prendersi la briga di spiegare: in cosa, esattamente, sarebbero consistiti “devastazione e saccheggio”, e perché sarebbero stati causati proprio da quelle dieci persone, tra le centinaia di migliaia che erano a Genova? Non si è risparmiato il Procuratore Generale Gaeta, sostenendo nella sua requisitoria che, questi reati di derivazione fascista sono da reinterpretare in funzione repubblicana, legata alla necessità di tutelare la libertà di pensiero e di manifestare.

Ricordiamo bene, come questo stato e le sue “forze dell’ordine” tutelarono la libertà di manifestare durante il G8 del 2001, quando si determinò “la più grave sospensione dei diritti democratici dal secondo dopoguerra in un paese occidentale”. Ricordiamo la devastazione dei corpi e del pensiero prodotti dalla militarizzazione di una città intera, dalle informative deviate, le frontiere chiuse, le cariche feroci, gli spari, i gas cs, gli arresti arbitrari, le torture, i pestaggi, le falsificazioni e gli insabbiamenti.
Ricordiamo il saccheggio della vita di un ragazzo e la devastazione del suo corpo dopo la morte.

Su tutto questo, a undici anni di distanza l’autorità giudiziaria italiana ha pronunciato la sua verità: a Genova ci fu una repressione brutale e indiscriminata verso chi manifestava ma, non ci sono responsabilità politiche, ha pagato una parte della truppa ed una parte dei suoi comandanti sul campo. Il capo della polizia dell’epoca è stato nominato sottosegretario di questo governo e difende, pubblicamente, i suoi pretoriani. I manifestanti entrano in carcere.

Non ci aspettavamo niente di buono da questa sentenza.
Eppure, di fondo, restava la voglia di pensare che la realtà, a volte, sa anche sorprendere.
Ma la realtà di oggi è che almeno quattro dei dieci condannati sono destinati al carcere.
Sulla loro pelle si manda un segnale a tutti e a tutte: d’ora in poi, basterà osservare qualcun rompere una vetrina per prendersi dai 6 anni in su. Se poi si aiuta a romperla, gli anni sono almeno dieci.
Dopo questa sentenza, possiamo dire che le vetrine hanno vinto sulle persone.
Inoltre il messaggio è inequivocabile: non provate a scendere in piazza o a manifestare nelle strade, tutti e tutte a casa a subire la crisi senza fare storie.

La campagna 10×100 si è sviluppata su dieci persone e il loro destino ma pensiamo sia riuscita anche a produrre dei risultati politici. Non solo con la raccolta di tante firme ma anche informando una opinione pubblica fino ad oggi per la maggior parte all’oscuro dell’esistenza di questo reato e di come si stava chiudendo Genova2001. Un dibattito si è acceso anche sui media mainstream.
Ma la campagna non finisce qui. In un certo senso inizia ora.
Non solo perché vogliamo continuare a contribuire ad aprire ambiti di discussioni di libertà ma anche perché bisogna continuare a portare solidarietà a chi oggi si trova in carcere.

L’urgenza ora è proprio non lasciarli soli e sole.
Genova non finisce. Il sipario non si cala.

Per mandare lettere e telegrammi a Marina.

Marina Cugnaschi c/o Casa Circondariale San Vittore
Piazza Filangieri 2 – 20123 Milano

Per Fagiolino

Alberto Funaro c/o Rebibbia Nuovo Complesso
Via Raffaele Majetti 70 – 00156 Roma

Faster activist, kill kill kill! [una politica lezione storica (o viceversa)]

lunedì, Luglio 16th, 2012

[english version below]

La sentenza del 13 luglio 2012, 11 anni dopo i fatti del G8 di Genova, condanna 5 persone a una 50ina di anni di carcere. Per altre 5 rinvia la condanna a un’altra 50ina d’anni di qualche mese per far riesaminare a un tribunale alcune circostanze. Tutti sono o saranno condannati per aver devastato e saccheggiato la città di Genova. In 10. Devastato e saccheggiato. Che dire? Complimenti. Traiamone alcune conseguenze.

Se per caso aveste voglia di menare le mani impunemente, ricordate di arruolarvi prima nella Polizia di Stato, preferibilmente nel Reparto Celere, ma anche gli altri reparti non disdegnato di sfogarsi quando si può (in particolare i reparti antisommossa della Guardia di Finanza sono noti per avere ampia mano libera). Tranquilli, nessuno verrà a chiedervi conto di quello che avete fatto, e ogni denuncia per lesioni verrà derubricata al massimo ad eccessi benintenzionati. Non vi sognate di dire che avete menato qualcuno perché portava una celtica o perché aggrediva un negro, la cosa potrebbe costarvi molto molto cara.

Se per caso aveste voglia di spacciare grandi quantità di droga, magari in combutta con un’organizzazione criminale, invece, il vostro posto sono i ROS: anche se veniste condannati ad anni di galera, nessuno penserebbe mai di rinchiudervi in una cella. Al massimo vi riterrebbero poco furbi e poco accorti nella gestione delle vostre questioni personali. Se vi beccano con un po’ di ganja, ricordate di dire che era di Ganzer.

Se preferite invece sedervi sul petto di qualcuno fino a soffocarlo, dovrete riprendere in mano la vostra candidatura in PS, possibilmente con le volanti. Anche per l’uso di bastoni e mazze da baseball riferitevi alla stessa istituzione. Se avete un penchant per Carabinieri o Polizia Stradale invece ultimamente significa che non volete andare per il sottile: armi da fuoco a go-go, che sia da una camionetta, in mezzo a un’autostrada oppure a bruciapelo. Se prediligete la morte per maltrattamenti e digiuno, o la simulazione di suicidio, di solito è il corpo della Polizia Penitenziaria il più indicato.

Se siete interessati alla prostituzione o alla pedofilia (pratica o organizzazione delle stesse sono solo declinazioni della questione), invece, vi tocca un percorso più tortuoso: nella chiesa o in un partito, costruzione di rapporti, copertura istituzionale. Alla fine però, state sereni, nessuno pretenderà che veramente vi facciate carico di quello che combinate. Se volete rovinare la vita di migliaia di persone rubando i loro risparmi e mandandoli sul lastrico, oppure direttamente affamandoli con prestiti usurai, anche qui con la Politica vi toccherà avere a che fare, ma solo per garantivi spazio di manovra. Carcere e punizioni, non c’è da temere manco l’ombra.

Perché, soprattutto per quanto riguarda soldi e beni materiali, il problema non è tanto se ve ne appropriate e se lo fate con metodi violenti o subdoli: l’importante è che non lo facciate per motivi politici. Se dovete fare un furto, dite che l’avete fatto per avidità, o alla peggio per noia, ma non vi sognate di dire che l’avete fatto per fame o come atto dimostrativo: processo e condanne saranno assicurate, e non certo lievi. Non c’è problema a fare una rapina, l’importante è che non sia autofinanziamento. Così come non c’è alcun problema a distruggere un bar se avete una divisa o se avete litigato con la morosa, ma non vi sognate di dire che lo avete fatto per fermare l’avanzata di un plotone di miliziani e per difendervi: primo non vi crederà nessuno, e anche se vi credessero vi darebbero 6 anni per devastazione e saccheggio.

Le sentenze di Genova sono un’importante lezione. Ci spiegano che per la nostra società non è assolutamente rilevante quello che facciamo o quello che non facciamo, ma che il motivo per cui compiamo le nostre azioni è esiziale. Per questo è importante sapere da che parte stare, e imparare a fare quello che deve essere fatto, senza tanti proclami e fino in fondo. Perché il mondo in cui viviamo non merita la speranza che abbiamo riposto in esso in quei dannati, infiniti, lunghissimi giorni genovesi. Non merita che noi ci esponiamo per cambiarlo, che cerchiamo di comunicare con il mondo perché bisognerebbe fare tabula rasa del presente e del futuro che è stato pensato e deciso per tutti gli abitanti del pianeta (noi inclusi) senza che questi venissero interpellati. Soprattutto non lo meritano molti esseri umani. E ora sarà anche facile sapere chi. Basterà chiedere che cosa ne pensano di una sentenza. Nessuna giustizia, nessuna pace.



Faster activist, kill kill kill! (altro…)

Genova 2001: la storia della Diaz è finita 11 anni fa // Diaz story has already ended 11 years ago

giovedì, Luglio 5th, 2012

[English version below]

Oggi, 5 luglio 2012, la Cassazione ha definitivamente condannato una dozzina di alti papaveri della polizia italiana per aver mentito, falsificato prove e verbali che giustificassero l’operazione di giustizia sommaria portata a termine la notte del 21 luglio 2001 alla scuola Diaz-Pertini e Diaz-Pascoli dove si trovava un dormitorio e il media center di chi si era mobilitato contro il G8 di Genova e tutto ciò che rappresentava. Nel corso di questi 11 anni di processi più di metà degli imputati e delle imputazioni sono scivolate via, divorate dalla prescrizione e dal desiderio di insabbiare quello che è accaduto quella notte. Non è bastato, e per una volta siamo qui a fare i conti con una verità in tribunale che quanto meno rende merito del fatto che qualcosa di assurdo, di atroce e di terribile sia accaduto in quei giorni.

Però la storia di quell’irruzione, della sua insensatezza, dell’arroganza di chi l’ha ordita cercando vendetta e seminando violenza su gente inerme e addormentata, solo per rifarsi dell’umiliazione politica e di strada subita durante i due giorni genovesi, è finita molto tempo fa. La storia non si fa nei tribunali. I tribunali sono funzionali al potere di cui fanno parte e al massimo possono farsi carico di giudicare una parte della storia (che non tutti i fatti sono rilevanti per un giudice e per la giustizia). La storia siamo noi; la storia è quella che tutti quelli che erano lì hanno vissuto e raccontato in questi anni, ed è molto più terribile di una manciata d’anni di condanne e della consolazione di una richiesta (che non verrà esaudita) di vedere questa gente espulsa da ciò che li rende più tronfi (il corpo); è quella che tutti coloro che erano incollati alla televisione non potranno mai dimenticati, l’atterrimento e lo sgomento provato, la sensazione di quanto effimera sia la democrazia di fronte alla necessità del potere di non mettersi in discussione.

E’ una soddisfazione per chi era lì con me? Penso di sì, tanti anni spesi per avere almeno uno straccio di carta da sventolare di fronte agli imbecilli a secco di informazioni. Ma non allevia la preoccupazione per quanto succederà settimana prossima. Quando 10 persone verranno giudicate e potenzialmente accusate di tutto quello che è successo a Genova. Loro erano lì. Come me, come molti di quelli che mi leggono. E Genova eravamo tutti noi. Ma pagheranno loro. Mentre molti di noi staranno a guardare. Avrei scambiato volentieri un colpo di spugna mal mascherato oggi con un’assoluzione tra una settimana. Ma non sarà così. E saranno anni lunghi in cui stare vicino a chi pagherà anche per me. Per noi.

Genova non è finita. Genova brucia ancora.
La storia siamo noi.


Today, July 5th 2012, the Supreme Court has definitively convicted a dozen of the highest ranking officials of the Italian police for having organized the raid in the Diaz-Pertini and Diaz-Pascoli schools where people slept and did media during Genoa G8 days back in 2001. They have been convicted particularly for having falsified evidence and for having lied about the reasons and the circumstances of the raid. During these 11 years of trials and courts most of the defendants and of the accusations have been washed away, gnawed at by the statute of limitation and by the desire of all the institutions to dump what happened that night and those days in the most hidden of places. Still they did not succeed into having people forget and forgive, and for once we are here dealing with a judicial truth that at least does not ignore that something shameful, horrible and unbelievable happened in those days and in that night.

But the story of the raid has already ended 11 years ago: its mindlessness; the arrogance of those who ordained it looking for vengeance and spreading violence on helpless people sleeping, trying to appease the political and “street” humiliation they had to endure during Genoa days; it’s all been there for a long time. History is not made by judges. Courts are part of the institutions and at the very most can acknowledge a side of the story people live (and everybody knows a lot of facts are not at all relevant for courts). We are history. History is what people felt and lived there that night. It’s what people told over and over these years, and it’s much more frightening than a bunch of year of conviction sown for lack of better ways to deal with what happened. It’s much more than the consolation of (maybe) seeing the accused people thrown out of what they care most for (the corps, the honour). History it’s what all the people mesmerized by the images and sound of their tv screen will never forget, aghast and ashamed of the feeling they clearly had of how feeble and faint democracy is in front of the absolute need of power not to be discussed or (worse) fought.

Are we (the ones who were there with me) satisfied? I guess so: so many years of our lives spent to wrestle at least a sodding paper to be waved under the nose of those who still won’t believe plain truth. But still all this won’t make a difference next week, when 10 people could be convicted by the Supreme Court to more than 100 years of jail, accusing them of all the things that happened in those days in genoa. They were there, of course. As I was. As we were. And Genoa was all of us. But it will be those 10 people to pay for it. And to pay dearly, while most of us will just stare still. I would have gladly traded a clumsily camouflaged coup to have the high ranking cops get away clean with an acquittal next week. But it won’t be so. And it will be so many years to not leave alone those who will pay for my struggle as well. For our struggle.

Genoa never ends. Genoa burns on.
We are history..

Meglio ammazzare con una divisa che sognare la rivoluzione

domenica, Giugno 24th, 2012

La Cassazione ha rigettato il ricorso dei quattro poliziotti (Paolo Forlani, Monica Segatto, Enzo Pontani e Luca Pollastri) che hanno ammazzato Federico Aldrovandi durante un “normale” controllo, confermando la condanna a 3 anni e 6 mesi. Poliziotti a tuttora in servizio, perché per loro a differenza dei comuni mortali vale la presunzione d’innocenza. Per loro e per tutti quelli che in qualche modo “gestiscono” o “esercitano” una qualche forma di compatibilità allo stato di cose presente e al potere. E’ inutile sottolineare la solidarietà nei confronti della famiglia di Federico, che non lo riavrà con questa sentenza, ma che quanto meno potrà affermare di non aver visto la verità calpestata in nome della ragione di stato.

Soffermiamoci però su altri dati di fatto: quattro persone in divisa hanno ammazzato un ragazzino innocente e sono stati condannati in via definitiva a tre anni (3) e sei mesi (6). Nei giorni e mesi scorsi sono arrivate le condanne per gli scontri del 15 ottobre: tre anni (3). Qualche anno fa una trentina di persone coinvolte in una barricata data alle fiamme (nessun ferito, qualche danno alle cose, ma poca roba) in mezzo a Corso Buenos Aires a Milano sono state condannate per devastazione e saccheggio a 4 anni e rotti di carcere (solo perché hanno fatto il rito abbreviato). E tra pochi giorni (un mesetto circa) 10 dei 25 imputati per i fatti del G8 di Genova rischiano una condanna a pene che variano tra i 10 e i 15 anni di carcere, accusati di aver messo a ferro e fuoco la città (se fosse vero gli faremmo comunque i complimenti perché in 10 è una
vera impresa!).

Rileggete bene e fermatevi a pensare per una volta, non scorrete queste righe come un sottotitolo di SKY TG 24 o come una cosa spiattellata sulla bacheca di Facebook o sulla timeline di Twitter. Dieci persone accusate di aver distrutto cose rischiano di dover passare 15 anni in carcere, quattro persone che hanno spento la vita di un ragazzo di poco più di 15 anni senza alcuna ragione sono state condannate a 3 e mezzo. Notate anche voi qualcosa che non va?

Non è una novità. Il modo in cui funziona la giustizia italiana (che ovviamente è uno strumento per difendere lo status quo) non può essere giusto. Ma quando è così distorto sembra volerci convincere che, alla fine, per la nostra società, è meglio ammazzare un ragazzino indossando una divisa che spaccare (dieci o cento non importa) vetrine sognando di fare la rivoluzione. Evidentemente nonostante i tanti proclami la vita per il mondo in cui viviamo vale molto meno di soldi e oggetti. Per questo un sistema di questo tipo merita di essere distrutto e tutti coloro che ci hanno provato meritano la nostra solidarietà.

Sostieni la campagna 10×100.it

Maggiori info sul G8 di Genova:
Supportolegale.org
Processig8.org

17 maggio A/I al K100

sabato, Maggio 12th, 2012

Giovedì 17 Maggio 2012 A/I – 10 YEARS NERDCORE al K100 di Campi Bisenzio (FI)

Serata in sostegno del progetto A/I

Dalle 21.30 Piccola appendice di sopravvivenza alla società dell’informazione: quando cancelli qualcosa dal computer sparisce davvero?
Due parole su sequestri, recupero dati e informatica nei procedimenti giudiziari.

A seguire presentazione del libro:
+ KAOS dieci anni di hacking e mediattivismo”. Libro collettivo sull’esperienza del progetto A/I

La cyber war non esiste, esiste la guerra…

domenica, Maggio 6th, 2012

..ed e’ un buon affare.

Ripensando al sequestro di ecn da parte dell’Fbi (e’ uscito quest’articolo interessante sul sito dell’eff), mi sono accorto che mi mancavano alcuni pezzi sul perche’ da alcune mail anonime, si sia finiti al sequestro del server. Il problema non e’ tanto l’atto in se’, ma l’attenzione rivolta al caso. L’interpretazione piu’ convincete secondo me e’ che l’Fbi nel tentativo di fare qualcosa, abbia agito consapevole di  compiere un’azione inutile dal punto di vista investigativo e utile soltanto come campagna mediatica. Un po’ nell’ottica di giustificare i propri stipendi e per far sapere al tizio delle mail: ti stiamo cercando, smettila. E fino qui tutto bene, cinicamente normale. Quale clima pero’ genera un tale livello di paraoia, cioe’ perche’ l’Fbi si e’ sentita spinta a fare qualcosa  di cosi’ appariscente per delle minacce anonime che avrebbe potuto spedire uno studente arrabbiato per l’esame di matematica andato male ? Non sara’ la prima volta che ad un’istituzione pubblica arrivano delle minacce anonime. In un territorio grosso come gli Stati Uniti capitera’  spesso credo. E’ forse  interessante provare a immaginare il clima che genera questa operazione un poco naif.  Da una parte ci sono i precedenti americani di studenti che smattano e fanno stragi nella propria scuola. E’ questa e’ una parte del problema. Ma c’e’ anche un questione piu’ strettamente legata al mezzo con cui sono giunte le minacce, la mail. Da qualche tempo si sente parlare di “cyber war”. Altro non sarebbe che l’estensione nel “cyber spazio” dei conflitti reali. Richard Clarke, un arzillo sessantenne, ex dipendente della Casa Bianca, in qualita’ di esperto di sicurezza informatica e di terrorismo, ha lanciato l’allarme in un suo libro: il nostro mondo dipende dalla rete e la rete e’ piena di spie, hacker, terroristi, e altri nemici dell’umanita’ pronti a tutto, invisibili e che potrebbero sprofondare il mondo nel caos. Bisogna quindi stare all’erta, come durante la guerra fredda, non ci si puo’ permettere di farsi trovare impreparati di fronte al nemico.

La guerra e’ una delle attivita’ preferite dall’uomo. Le guerre accompagnano l’umanita’ da sempre. C’e’ un testo secondo me molto interessante di un filosofo psicanilista morto qualche tempo fa, James Hillman, nel quale si indaga “questo terribile amore per la guerra”, che e’ anche il titolo del libro. Nel nostro mondo dominato dal soldo, le guerre si fanno per denaro. Ma non solo nel senso che chi vince prende le risorse e il denaro di chi ha perso. Le guerre sono un modo per muovere capitali, sono la grande opera per eccellenza, meglio della Tav o del ponte sullo stretto. Sono piu’ rischiose, ma se ben gestite sono un buon modo per fare un buon affare. Le guerre distruggono cose che andranno ricostruite: le guerre fan girare l’economia. Distruggono valore per creare profitto. Una guerra e’ un modo per iniettare grosse quantita’ di denaro pubblico all’interno del mercato. Le guerre pero’ hanno anche dei piccoli inconvenienti: le persone muoiono e questo deprime l’opinione pubblica, generano poi grossi debiti, ma questo dal punto di vista di circolazione del denaro potrebbe anche non essere un problema. Se l’America ha un grosso debito pubblico meglio, lo comprano i cinesi, o qualche altro stato con fondi sovrani da investire, che cosi’ drenano le proprie risorse finanziarie e le fanno tornare in circolo nel mercato.

La cyber war e’ una nicchia interessante in questo supermerket di soldi invisibili. La fai da casa, non devi smuovere gli eserciti, e far morire i soldati, che e’ brutto da vedere, sembra una cosa piu’ igienicamente corretta, cosi’ la puo’ fare anche Obama. Puoi gonfiarla a dismisura: la sicurezza informatica fa pagare operazioni di comune buon senso, come complesse operazioni di intelligence. Proviene dalla giungla di Internet, un luogo oscuro, che anzi andrebbe controllato meglio, sarebbe proprio necessario investire dei soldi per dotarsi di strumenti di controllo su Internet, se non vogliamo sprofondare nel caos. Non male in tempi di crisi, non e’ come mobilitare gli incrociatori, l’aviazione e i marines, ma un po’ di soldi girano lo stesso. Tutte le grandi potenze dicono di stare preparandosi alla cyber war, un po’ come tutte si preparavano alla guerra atomica.

Io credo che le guerre continueranno ad opporre forze materiali: sara’ una bomba, un gas o una pallottola a porre fine alla tua esistenza, la cyber war, boh. Quando l’apocalisse cybernetica sara’ scatenata sappi che non avrai twitter, ne’ facebook, ne’ noblogs, non potrai leggere la mail, non potrai usare il cellulare, pagare con la carta di credito, ne’ ritirare i soldi dal bancomat. La storia tornera’ indietro di quasi vent’anni: riusceremo a sopravvire a quest’inferno ? Da un certo punto di vista meglio: potremo concentrarci nel cercare di evitare le pallottole, le bombe e i gas.