Archive for the ‘Cronache_Terrestri’ Category

4 domeniche con freepto al k100 di Campi Bisenzio (FI) benefit A/I

giovedì, Febbraio 19th, 2015

ai_avana_freepto_laboratori_k100f

Un mini laboratorio con A/I e Freepto su buone pratiche per evitare nausee, fastidi, emicranie e non stare troppo male navigando in Internet.

Da domenica 1 marzo ogni 15 giorni fino al 18 aprile, h 15.30 circa

La sensuale violenza della repubblica

venerdì, Febbraio 13th, 2015

violenza-sensuale

Il lapsus misura il senso e la qualita’ del giornalismo di Repubblica, meno male gli screenshot ci permettono di tenerne memoria nel tempo, anche dopo la correzione. Comunque la correzione piu’ corretta sarebbe stata far sparire l’articolo.

Vorrei un gatto da appartamento docile, dolce, che non faccia danni in casa

venerdì, Gennaio 30th, 2015

Identificare la tipologia di un rapporto finisce per indirizzare tutto il resto del discorso. Leggevo l’altro giorno la lettera aperta a chi indossava il passamontagna a cremona. L’autore, un insegnate dice, vorrebbe instaurare un immaginario dialogo sulla base di un rapporto filiale, padre – figlio. La prima cosa che ho notato e’ che non si parla di madri o di figlie. Si parla proprio solo di padri e di figli. Secondo me l’autore trarrebbe giovamento ad indagare invece un altro tipo di rapporto, che gli consentirebbe anche di non incappare nelle questioni di genere. I rapporti di produzione. Non figli: prodotti. L’indirizzare ogni tipo di ragionamento al profitto ha creato non una, ma molteplici generazioni tirate su’ mangiando merda, ma cercando di convincerli che fosse cioccolata. Allora si’ il problema diventa tutto educativo. Perche’ non volete sentire il sapore della cioccolata ? E’ colpa nostra che non vi abbiamo saputo educare bene a scuola, in chiesa, per televisione. Abbiamo sbagliato noi padri,e si sa che le colpe dei padri, poi ricadranno sui figli, perche’ i padri han mangiato l’uva acerba e i denti dei figli si sono allegati. Ma perche’ siete cosi’ violenti ? Boh.
Ma basta veramente cosi’ poco per far nascere tutte queste domande ? Cioe’ un cordone coi bastoni e i caschi ? No perche’ negli ultimi quarant’anni se ne sono gia’ visti un po’, non e’ proprio una novita’ introdotta da cremona… Cioe’ riducendo all’osso quanto letto sui giornali dopo un areosol collettivo di lacrimogeni di diverse ore, tutta questa violenza si e’ indirizzata su non piu’ di dieci vetrine.
Personalmente mi farei un’altra domanda, che alla fine forse non e’ cosi’ difficile capire perche’ ci sia gente arrabiata per una persona in coma a causa delle sprangate neofascite.
Io mi chiederei piuttosto perche’ il corpo sociale sia cosi’ poco conflittuale per tutto il resto del tempo. C’e’ un libro interessante tradotto da poco per la casa editrice Nautilus, L’enigma della docilita’. E’ scritto da un altro insegnante Pedro Garcia Olivo, e si pone esattamente questo interrogativo.
Il libro parte cosi’ (salto coi puntini che non ho voglia di ricopiarlo tutto a manina)
Di fronte a un conflitto … gli storici e il resto degli scienziati sociali si mettono immediatamente a investigarne le cause … a interpretare cio’ che viene percepito come un’alterazione nella pulsazione regolare della Normalita’. Al contrario, l’assenza di conflitti in condizioni particolarmente laceranti, che avrebbero dovuto mobilitare la popolazione – gli strani periodi di pace sociale in mezzo alla penuria o all’oppressione; la misteriosa docilita’ in una cittadinanza abitualmente sfruttata e soggiogata – non provoca un eguale entusiasmo negli analisti, una febbre negli studi, una proliferazione di dibattiti accademici sulle sue cause, le sue motivazioni.
Le conclusioni dell’autore non mi convincono del tutto, ma questa e’ per me una bella domanda, che interessa anche argomenti piu’ consueti per questo blog.
Continuano ad uscire i documenti di Snowden che delineano per sommi capi progetti dell’Nsa dai nomi sempre piu’ apocalittici/arrapanti Leviathan, WarriorPride, HiddenSalamander, DefiantWarrior. A parte un ristretto gruppo di attivisti e persone sensibili la questione sta procedendo nell’indifferenza dei piu’. Si potrebbe dire che dopo la Francia si preferisca barattare la propria liberta’ con una sicurezza impossibile, pero’ Snowden ha iniziato molto prima, in un periodo neppure troppo cruento. Tutto si e’ arenato a pochi mesi dalle prime rivelazioni. Una marcia, una petizione e fine. Eppure i media continuano a pubblicare, la questione e’ volendo sotto gli occhi di tutti.
Se si trattasse di un argomento tipo gli accordi commerciali segreti conosciuti come TTIP, capirei le difficolta’. Questi trattative tra l’altro potrebbero contenere accordi su proprieta’ intellettuale, trattamento dei dati personali. Perche’ dovremmo fidarci ? Da sola questa cosa basta per esempio a cambiare la faccia di Internet come la conosciamo (e’ gia’ cosi’ fa schifo). Pero’ e’ tutto volutamente molto fumoso, effimero e mascherato di tecnicismo.
Si puo’ dire forse che sono troppi i problemi di cui occuparsi e questi sono argomenti di retroguardia ? Sicuramente, pero’ perche’ un’apatia vaga serpeggia, anziche’ un’incazzatura generalizzata su temi piu’ rilevanti ?
E da qui potrebbero partire un sacco di considerazioni banali e luoghi comuni, che evitero’.
A me basterebbe ribaltare la domanda iniziale: non perche’ qualcuno s’agita, magari anche un po’ a caso, ma perche’ tutti quegli altri no ?

La cosa dall’altro mondo

giovedì, Gennaio 15th, 2015

English version below

Il susseguirsi di nascite e di morti segna in questo periodo più delle lancette dell’orologio la mia percezione del tempo. Nascite che rendono felici amici, e morti che lasciano il segno su pochi o altre che vorrebbero scuotere e traumatizzare il mondo intero.
La dialettica tra forze materiali che imprime forma alla realtà è quanto mai schizofrenicamente attiva in questo periodo.
Solo fino a poche settimane fa i maggiori quotidiani nazionali erano un tripudio di emergenzialismo, e testosterone: tra l’operazione Aquila Nera tesa a stroncare sul nascere la (parecchio sgangherata) organizzazione neofascista Avanguardia ordinovista e gli incendi ai cavi sulla linea della Tav, che a tratti assumevano le sembianze smostrate di una novella strage di Bologna. O qualche giorno prima i sindacati che bloccano il paese o gli “antagonisti” che vogliono sempre fare a botte. Come se ci fosse una galassia in violenta espansione tesa ad inghiottire il mondo, un’entità aliena pronta ad invadere la quotidianità, che invero ha continuamente bisogno di sentirsi minacciata, aggreddita, perché le sue basi e ragioni sono talmente fragili, da rafforzarsi solo di fronte al nemico comune, all’emergenza traumatica, che cancella i dubbi e lascia liberi di agire a riconfermare un presente identificato con il migliore dei mondi possibili o il minore dei mali necessari.
Tutta questa costruzione un po’ scriocchiolante lascia il posto a Parigi, dove la guerra che serpeggia da decenni esplode nelle sue dinamiche di rancore, inteso come odio consapevolmente lasciato fermentare. Questa sì che sembra un’invasione aliena, terrifica e oscura, mediaticamente appagante e pornografica come le stragi nei college statunitensi, con la caccia all’uomo, gli ostaggi, gli assalti, ecc…
Eppure aliena non è, tutto questo non è alieno alla nostra società, anche se sarebbe comodo che lo fosse. Poter stigmatizzare la violenza e fermarsi lì, dedicarsi a curare i sintomi, per sentirsi rassicurati.
Serpeggia un desiderio di controllo, spesso su aspetti marginali della questione, che sembra quasi una mera esibizione di forza, o paranoia. Un mondo schizofrenico che da un lato osanna la libertà d’espressione offesa a morte e dall’altro vorrebbe controllare ogni sistema di comunicazione, vietando quello che apparentemente sfugge (affermazioni da campagna elettorale britannica fresche fresche di David Cameron, http://tinyurl.com/nhoeceu).
In generale un po’ ovunque i governi si pongono pubblicamente la questione come un problema di sorveglianza. Ci si pone di fronte ai territori come se fossero dei fortini assediati da difendere, da presidiare, da sorvegliare.
Ma sono ben consapevoli che è soltanto propaganda. Le reti telefoniche prima dell’avvento di Internet, erano strutture relativamente facili da controllare, questo non ci ha risparmiato guerre, violenze e fattacci brutti brutti negli ultimi 100 anni.
Perché il problema non sta lì, non sta nella quantità di cose che sorvegliamo. Non sta nell’analisi delle comunicazioni digitali di tutti gli abitanti del mondo, anche se i governi apparentemente sembrano pensarla così, in una sorta di fragile delirio di onnipontenza, estraneo ad ogni valutazione di altro genere. Valuazioni che comunque vengono fatte, ma spesso taciute, perché è più facile dare in pasto all’opinione pubblica qualche inutile ricetta, piuttosto che ammettere che tutto fa parte di un crudele e cinico gioco ad incastri in cui le ragioni dell’economia, della geopolitica, gli scontri di potere si celano dietro paraventi di comodo. Più semplice ripartire sempre da zero e immaginare gli alieni che vengono a rapire la nostra placida quotidianità, come se questo “idillio” non fosse normalmente costruito sull’incertezza, sullo sfruttamento, sulla disuguaglianza sociale, sull’imposizione, sulla paura, sulle ragioni del denaro e del profitto sopra ogni altra questione.
Gli alieni venuti a rubare le nostre pecore e tracciare sanguinosi cerchi nel grano, sembrano alieni, perché spesso noi pure siamo alieni a noi stessi e stentiamo a riconoscere la nostra immagine riflessa e distorta nelle acque di questo strano ruscello post moderno in cui ci laviamo il volto.


The Thing from Another World

Nowadays my sense of time is marked more by the succession of births and deaths than by the ticking of the clock. Births that make friends happy, and deaths that leave their mark on few or that aim at shocking and traumatizing the whole world.
Today, the dialectics among material forces that forms reality is more schizophrenically active than ever.
Just few weeks ago, the most important Italian newspapers were full of fake emergencies and testosterone — between the “Aquila Nera” (or “Black Eagle”) operation, aimed at crushing the emerging (and rather rambling) neofascist organization “Avanguardia ordinovista” (“Vanguard for the New Order”), and the “arson attack” that set fire on some cables of the high velocity train line in Bologna, and was sometimes depicted as a new Bologna Massacre[1]. And what about the unions “bringing the country to a standstill”, or the “radical” groups who always want to get into a brawl. It’s as though there was a galaxy that is violently expanding in the effort of gobbling up the world, an alien being ready to overrun our everyday life — a life that always needs to feel threatened, under attack, because its foundations and motivations are so fragile, that they only get stronger in the face of a common enemy, of traumatic emergencies, that remove doubts and allow everyone to act as they like, enforcing a present that is identified with the best of all possible worlds or with the least of the necessary evils.
This whole pretty crumbling construct has been replaced by the events in Paris, where a war that had been looming for decades has exploded in its patterns of grudge, of a hate that had been consciously left to brew for a long time. This one really looks like an alien invasion, terrifying and obscure, media-oriented and pornographic as the massacres in American colleges, with manhunts, hostages, SWAT raids, etc.
But there is nothing alien in all this: nothing in all this is alien to our society, even if it would be comforting if it was. It would be comforting to simply stigmatize violence, to focus on the treatment of symptoms in order to feel reassured.
A yearning for control is in the air. It often concerns secondary aspects of the question, and actually seems a mere show of force, or of paranoia. We live in a schizophrenic world which at the same time celebrates the deeply injured freedom of speech, and wishes to control every communication system, and to forbid what apparently slips by (see the most recent declarations by David Cameron during his electoral campaign).
More generally, governments all over the world are openly discussing the question as a matter of surveillance. Each territory is treated as a fort under siege that must be protected, guarded and watched over.
But they all know that this is just propaganda. Before the emergence of the Internet, telephone networks were relatively easy to monitor, but this hasn’t spared us wars, violence and bad, bad deeds in the last 100 years.
For the point is this, and not the amount of things we surveil. The point does not consist in the analysis of the digital communications of each and every inhabitant of the planet, although the governments seem to believe this, in a sort of fragile omnipotence delirium that is alien to any other consideration. Some considerations are indeed made, but they are often kept secret, because it is easier to serve up some useless recipe to the public than to admit that all this is part of a cruel and cynical puzzle where the reasons of economics, geopolitics, and clashes of power are hidden behind a facade of convenience. It is easier to start from scratch over and over again, and to imagine some aliens who come to kidnap our peaceful everyday life, as though this “idyllic life” wasn’t normally built upon uncertainty, exploitation, social inequality, dominion, fear, and the reasons of money and profit above everything else.
The aliens who have come to steal our sheep and to draw bloody crop circles look like aliens because often we are also alien to ourselves, and we hardly recognize our twisted reflections in the water of this weird post-modern stream where we wash our faces.

[1] https://en.wikipedia.org/wiki/Bologna_massacre

La sicurezza non è un crimine

venerdì, Gennaio 9th, 2015

[English version below]

Seguiamo con preoccupazione l’evolversi di una brutta vicenda in Spagna. Dal 16 dicembre 2014 7 persone sono in custodia cautelare in carcere ed altre 4 indagate tra le città di Barcellona, Madrid, Sabadell e Manresa. Sembra il copione di un film già visto: una accusa di associazione terroristica di stampo anarchico, perquisizioni all’alba -anche nella storica occupazione della Kasa della Muntanya-, sequestri di libri, agende, cellulari e dischi fissi, e la fastidiosa sensazione che sul banco degli imputati ci siano delle idee piuttosto che delle persone.

Quel che è originale, e ancora più fastidioso, è che tra le motivazioni del giudice per la custodia cautelare, tra gli “indizi” che dovrebbero dare fondamento all’ipotesi che effettivamente esista tale organizzazione e che veramente essa abbia finalità eversive, c’è niente meno che l’uso di caselle di posta sicure, in particolare quelle dei server di Riseup. Così in un tempo in cui le agenzie di sicurezza e le forze di polizia di mezzo mondo violano sistematicamente il diritto alla riservatezza e alla comunicazione libera e mettono in pericolo le basi stesse del funzionamento di Internet, c’è chi crede che utilizzare protocolli standard di sicurezza e riservatezza sia un segnale dell’esistenza di un progetto eversivo. Terrorista è chi difende i propri diritti elementari, non chi li ha violati sistematicamente per anni.

Già avevamo avuto notizia che in certe parti del mondo particolarmente sensibili l’utilizzo di caselle di posta di Riseup fosse considerato un indizio di criminalità. Che questa cosa succeda in un paese dell’Unione europea e che comunque si estenda ci preoccupa enormermente – anche se forse non ci coglie del tutto di sorpresa. Però non abbiamo intenzione di restare zitti mentre un progetto affine e simile al nostro, qual è Riseup, viene additato come il marchio degli untori. Denunceremo e contrasteremo questa interpretazione del diritto alla privacy con tutte le nostre forze e capacità.

Riportiamo il comunicato originale di Riseup tradotto, così come rimandiamo a un ottimo comunicato di OffTopic Lab (e altri) che spiega il contesto in cui è avvenuta questa operazione di polizia.

La sicurezza non è un crimine

(altro…)

Giovedi’ 9 ottobre a Pisa — I/Off

martedì, Ottobre 7th, 2014

A pisa dal 9 al 12 ottobre si svolgera’ lo I/off festival, delle diverse cose in programma volevamo segnalarne una che si terra’ in apertura, giovedi’ 9 ottobre alle 19. Guida Galattica per criptoattivisti, tenuto da Claudio ‘Nex’ Guarinieri.

La descrizione completa:

Questo e’ il picco della lotta per la protezione della privacy. E’ la prima opportunita’ di prova di forza per le prime generazioni native digitali. I giornali dicono che siamo gia’ in un mondo post-Snowden, ma cosa e’ cambiato? Per cosa stiamo combattendo? E come possiamo vincere? E in Italia questa opportunita’, ce la stiamo facendo scappare?

E’ un dibattito interessante, fatto con una persona interessante. Io penso che a tutta questa analisi manchi un pezzetto che la ricongiunga ad altri scenari di lotte. Non credo che le generazioni native digitali siano cosi’ diverse dalle precedenti e che i problemi che dovranno affrontare non si origineranno tanto dalla penetrazione della tecnologia nelle loro vite, ma piuttosto dal cambiamento dei flussi di denaro e di assi di potere in corso negli ultmi 40 anni.
(altro…)

Lasciate che i giovani vengano a noi

lunedì, Settembre 29th, 2014

L’orco che uccise Aaron Swartz non era un orco, perche’ gli orchi come ci ha insegnato shrek sono buoni. Era piuttosto un sistema fatto di persone in carne ed ossa, che ha voluto vendicarsi, dell’infante prodigio traditore.

Qualche settimana fa ho letto un pessimo articolo su Repubblica, riguardo l’allevamento a terra di giovani “genietti” sviluppatori di app. E’ interessante come la nostra societa’ dia vita a comportamenti e valutazioni sul mondo completamente schizofrenici in situazioni del tutto simili: tutti si scandalizzano se in Congo ci sono i bambini soldato, in India quelli che cuciono i palloni e le scarpe, in Thailandia i genitori che affittano i bambini per il turismo sessuale, ma se invece fanno i genietti del web, e aprono aziende con i propri genitori come prestanome, allora va bene, perche’ magari guadagnano milioni di dollari. In Congo servono i soldati, in India i cucitori di palloni, in Thailandia orifizi e corpicini, in America gli sviluppatori geniali di minchiate per smartphone, e i bambini prodigio per il cinema, certo. Negli Stati Uniti pagano meglio di tutti, pero’ allora si dica chiaro che e’ solo una questione di soldi.
(altro…)

A/I antisocial

martedì, Settembre 16th, 2014

Quest’estate ci hanno chiesto di rispondere a delle domande sui new media e social media per una tesi. Mettendo per iscritto i pensieri in maniera semi serria abbiamo rilevato due particolarita’ del nostro collettivo:

1) non sappiamo cosa siano i new media. Ci abbiamo pensato tanto, ma non l’abbiamo capito
2) abbiamo delle tendenze antisociali, che ci provocano eritemi di fronte ai social media, infatti sappiamo cosa sono, ma fatichiamo ugualmente a comprenderli.

Qui di seguito domande e risposte. Consigliamo la lettura ascoltando “Antisocial” eseguita dagli Anthrax, o se preferite le cose piu’ vetuste, dai Trust

1-Do you identify with a particular movement?

No, vogliamo moderatamente bene a tutti e cerchiamo di aiutare tutti coloro che si muovono nell’ambito dell’autorganizzazione con paletti molto generici, ma categorici: l’antifascismo, l’antissesismo, l’antirazzismo e l’anticapitalismo. Siamo un server di “movimento” in questo senso un po’ ecumenico del termine.

2-What are the principles driving your view about digital technology and new media?

Tutta roba vecchia, niente di nuovo. Autogestione, solidarieta’, mutuo appoggio niente che non si possa gia’ leggere in vecchi libri tipo La conquista del pane di Kropotkin. In sintesi: a steve jobs gli pisciamo sulla tomba, zuckemberg lo prenderemmo a ginocchiate nelle costole e agli occhiali di google, preferiamo gli occhiali da sole per il dopo sbornia.

3-Do you use new and social media? What specific platform do you use?

Quasi nessuna in realta’. Abbiamo messo su’ una piattaforma di blog nostra, noblogs.org, perche’ il sistema di pubblicazione usato nei blog ci sembrava l’unica cosa mediamente interessante partorita dal web 2.0. E’ orientata alla riservatezza, senza profilazione per gli utenti, perche’ ci sembra l’unico sistema in grado di garantire liberta’ d’espressione. Per il resto non sapremmo. Pubblichiamo su twitter le comunicazioni del collettivo qualche volta.

4-For which purposes do you use social and new media?

In generale cerchiamo di non usarli, per una sorta di ecologia mentale

5-What do you like and not like about new and social media?

Non ci piace quasi nulla dei social media. A partire dall’aggettivo social che li connota, perche’ e’ ingannevole, da l’idea che siano stati pensati per mettere in comunicazione le persone, e non per mercificarne le relazioni. Invece attualmente ci sembra valga la seconda e la prima sia solo lo specchietto per le allodole.

6-What do you think are the limitations of the web and in the specific of new and social media?

Il web ha due problemi: i governi e le multinazionali, se eliminiamo quelli poi il web e’ a posto.

7-What kind of audience do you think you can reach through new and social media?

Non siamo molto bravi a porci la questione dell’audience, facciamo quello che ci sembra giusto fare cercando di renderci utili, ispirandoci al principio di mutuo appoggio: mettiamo in campo quello che sappiamo fare, a disposizione della comunita’, se qualcuno ne fa buon uso, siamo contenti.

8-What are the motivations for using new and social media?

Ad occhio e croce, guardandoci un po’ attorno e chiedendo agli amici, diremmo la solita, quella che trascina l’umanita’ dagli albori, anche dopo che e’ scesa dagli alberi: l’accoppiamento.

9-In which ways are social and new media challenging the dominant media system in the specific Italian context?

Non li vediamo cosi’ in competizione, si spalleggiano a vicenda, fingendo di litigarsi, come due fidanzatini.

10-Do you consider new and social media as a potential tool for mobilization?

I social media non creano mobilitazione, sono utili come lo sarebbe qualsiasi altro strumento di comunicazione quando le mobilitazioni esistono gia’ nella realta’. Il conflitto e’ nella realta, oppure e’ solo la rappresentazione del medesimo.

Intervista a Claudio ‘Nex’ Guarnieri, parte 2

mercoledì, Settembre 10th, 2014

C – E in Italia invece? Il nostro paese in fatto di sorveglianza ha una “grande tradizione” fin dal secondo dopo guerra ed il rapporto Vodafone di giugno sembra in parte confermare questa tendenza.

N – Dalle nostre analisi emerge in prima battuta una ramificata presenza dell’infrastruttura di comando e controllo di RCS. I server che la compongono sono dislocati anche in altri paesi, ma le nostre rilevazioni hanno mostrato come quelli italiani si contraddistinguano per un’attivita’ piu’ elevata. Questo non significa di per se’ che i dati intercettati provengano esclusivamente da operazioni condotte in Italia, ma semplicemente che i server sul nostro territorio sono costantemente interessati dall’attivita’ di collezionamento dati. Da parte nostra pero’, pur non avendone la certezza, presumiamo che la maggior parte di queste macchine sia utilizzata in operazioni all’interno del nostro paese.

C – Su quali basi fai quest’affermazione?

N – Quello che ti posso dire e’ che durante il corso della ricerca con Citizen Lab abbiamo identificato diversi casi molto probabilmente relativi a operazioni di sorveglianza portate avanti nel nostro paese. Non abbiamo pero’ mai pubblicato i dettagli di cui siamo in possesso perche’ non siamo riusciti a circostanziarne l’uso. E la ricostruzione del contesto in cui tali attacchi si dispiegano e’ fondamentale: senza un’adeguata comprensione di questo retroterra i nostri report non avrebbero alcun valore. A mio avviso pero’ non ci sono dubbi: malware e spyware sono sicuramente utilizzati in Italia e a confermarlo ci sono diversi sintomi…

C – Quali?

N – Durante il lavoro di ricerca su HackingTeam, l’Italia era al primo posto con il maggior numero di endpoint servers in totale, ossia di nodi utilizzati per raccogliere i dati dai vari computer e telefoni controllati. Questo mostra che ci sono agenzie in Italia che utilizzano attivamente RCS.

Ci sono stati anche casi documentati in passato, come l’affare Bisignani, anche se raramente l’utilizzo di spyware viene ammesso in modo trasparente dalle autorita’. A questo proposito, e’ interessante notare che, come abbiamo indicato nel report pubblicato a febbraio, alcuni dei server di HT sono registrati presso CSH & MPS SRL, azienda a cui in passato era stata addebitata la responsabilita’ del malware utilizzato contro Bisignani. Coincidenza? ;)

C – E invece quali ricadute credi possa aver avuto la pubblicazione dei vostri report sui diretti interessati, ovvero su Hacking Team e Gamma International?

N – Dal punto di vista economico non saprei: non ci e’ dato di conoscere le modalita’ con cui operano queste aziende.

Dal punto di vista comunicativo invece Hacking Team e Gamma hanno reagito seguendo strategie diverse. Quest’ultima ha mostrato di essere poco preparata a gestire la situazione. In un primo momento ha tentato di contenere il piu’ possibile il problema, rilasciando interviste e facendo attivita’ di public relations. I risultati sono stati disastrosi: si sono contraddetti e hanno cambiato la loro versione dei fatti piu’ volte. Inizialmente hanno affermato di non aver mai stabilito alcun tipo di rapporto, ne’ stipulato alcun contratto, con il governo egiziano. Un anno dopo invece hanno sostenuto di non aver fornito al regime di Mubarak gli strumenti di sorveglianza utilizzati durante le rivolte del 2011. Successivamente abbiamo dimostrato che stavano mentendo.

Un altro dato certo che abbiamo in mano e’ che la sezione di Gamma International responsabile dello sviluppo dello spyware e’ stata scissa ed ha preso il nuovo nome di Finfisher GmbH: questo potrebbe essere un sintomo delle pressioni legali e politiche che hanno ricevuto. Inoltre alcuni paesi che intrattenevano rapporti commerciali con Gamma li hanno interrotti. Il regime etiope per esempio sembra aver smesso di fare affari con loro e ha siglato nuovi contratti con Hacking Team. Immagino che ora siano alla ricerca di un altro offerente :-)

Ogni volta che pubblichiamo un report cerchiamo sempre di fornire alle societa’ che producono antivirus tutti gli indicatori necessari per rilevare il malware. Fino ad ora abbiamo sempre instaurato con loro un buon livello di cooperazione. Cosi’ facendo riusciamo a creare qualche grattacapo ai produttori di spyware perche’ li costringiamo a reingenierizzare il loro software affiche’ questo non sia visibile ai motori antivirus. In secondo luogo devono ricreare da zero tutta la loro infrastruttura di comando e controllo. Il risultato e’ un incremento dei costi di produzione del malware. L’effetto collaterale e’ quindi rendere il malware il piu’ dispendioso possibile e limitare di conseguenza l’accesso al mercato (sia dal punto di vista dell’acquirente che da quello del produttore).

Abbiamo avuto piu’ difficolta’ a leggere la reazione di Hacking Team. Sono stati piu’ silenziosi e non hanno fatto grosse apparizioni mediatiche. Gamma interveniva in continuazione sui giornali e cosi’ facendo contribuiva a conferire rilevanza alla notizia dei nostri report. Hacking Team l’ha capito e per questo motivo ha scelto di tenere un profilo molto piu’ basso. Quando abbiamo cominciato a pubblicare su di loro in modo piu’ ricorrente e aggressivo hanno provato a rispondere con toni ponderati, premeditati e formali. Le loro argomentazioni sono state sostanzialmente due: primo, che il loro operato si svolge in ottemperanza alle leggi italiane ed internazionali; secondo, che non vendono i loro prodotti a paesi accusati di essere poco rispettosi dei diritti umani. Resta il fatto pero’ che fino ad oggi hanno rifiutato di intavolare qualsiasi tipo di dibattito.

Una prima eccezione e’ avvenuta l’anno scorso quando ho partecipato ad un panel ad RSA dove con Jacob Appelbaum e Kurt Opsahl dell’EFF ci siamo confrontati con i loro rappresentanti. Indirettamente ci hanno accusato di facilitare la vita di terroristi e criminali per aver svelato l’esistenza e il funzionamento dei loro software. Piu’ recentemente ci hanno accusato di portare avanti una campagna dedita esclusivamente a danneggiare il loro business.

Pura retorica. Innanzi tutto perche’ le nostre ricerche sono di carattere tecnico-scientifico e documentano casi di abuso. In secondo luogo perche’, se anche fosse vero quanto sostengono, come spiegano allora l’enorme quantita’ di attivisti e giornalisti messi sotto sorveglianza mediante i software che sviluppano e commercializzano? Ovviamente nel momento in cui abbiamo posto la questione non abbiamo ricevuto alcuna risposta, se non quella per cui le prove presentate erano circostanziali e non dimostravano in alcun modo la paternita’ dei malware esaminati.

Al netto di tutte queste considerazioni pero’ credo vada aggiunta un’ulteriore nota. Nonostante il nostro lavoro la compravendita di malware e’ destinata ad una crescita costante. Dopo l’esplosione del Datagate sono certo che il bacino di clientela di questo mercato sia in impennata. Maggiore e’ il numero di provider che implementa la crittografia di default, piu’ difficile sara’ intercettare su cavo: mettere un plug all’ISP diventa inutile. La conseguenza e’ che l’uso di spyware a fini di controllo diventera’ sempre piu’ diffuso e popolare. Le rivelazioni di Snowden possono forse aver rallentato la sorveglianza massiva ma di certo non hanno fermato le agenzie di intelligence che sempre piu’ ricorreranno a tecniche offensive dirette per intercettare i loro target.

C – C’e’ un aspetto su cui insistete molto nei vostri report e che mi piacerebbe approfondire, ovvero quello dell’assenza di regolamentazione del mercato del malware. Piu’ volte avete sostenuto che la mancanza di norme relative all’esportazione comporta una serie di nuovi rischi per la stabilita’ dei network, sia a livello nazionale che a livello corporate. La diffusione di questi software – dai costi peraltro relativamente ridotti e spesso utilizzati anche contro gli stessi paesi che ne sono produttori – ha infatti come ripercussione un aumento degli attacchi informatici registrati sulle reti globali.

N – Esatto.

C – Ok. Questa dinamica pero’ mi pare foriera di altre conseguenze. Se il livello di instabilita’ dei network cresce, allora e’ plausibile che governi e istituzioni militari comincino la corsa agli armamenti digitali. E infatti gli investimenti in tecnologie offensive sono aumentati vistosamente negli ultimi dieci anni. La loro proliferazione incontrollata porta necessariamente con se’ un altro risvolto, ovvero un ulteriore accrescimento dell’instabilita’ dei network. Questo a sua volta stimolera’ ulteriori investimenti nel settore e cosi’ via. E’ un cane che si morde la coda.

N – Si, l’analisi e’ corretta. Il loop che hai descritto si verifica a causa del concatenarsi di differenti fattori. Quello piu’ rilevante a mio avviso e’ la volonta’ della agenzie di intelligence di mantenere l’attuale status quo, sia a livello economico che legislativo: sono convinto che non permetteranno mai che tali software smettano di essere prodotti, ne’ che certe normative – magari orientate a limitarne l’uso – entrino in vigore.

C – E se anche fosse, quest’ultima opzione rischia di non avere praticamente alcun valore, a meno che non venga adottata su scala globale. In fondo stiamo parlando di aziende che di fronte ad una legislazione nazionale volta a limitarne l’attivita’ potrebbero benissimo spostare la loro sede legale in un altro paese e aggirare in questo modo il problema.

N – Esatto. Inoltre non dobbiamo dimenticare che la deregolamentazione del malware produce una certa instabilita’ globale proprio perche’ e’ una tecnologia che nasce con lo specifico intento di mantenere insicuri reti e sistemi. Se Internet venisse resa sicura diventerebbe molto piu’ complesso estrarre profitto da questo genere di mercato. Ecco perche’ i player del settore (come Gamma, Hacking Team o Vupen) fanno carte false per impedire che certe vulnerabilita’ vengano alla luce o che gli exploit di cui sono in possesso siano resi noti al pubblico. Infine non dimentichiamo che ci sono precisi interessi economici che influenzano i processi di sviluppo del software e le feature di sicurezza dei sistemi operativi (come Windows) passano spesso in secondo piano.

Mi pare evidente: c’e’ un palese interesse a mantenere Internet insicura e vulnerabile. Se ci pensi per un istante ti rendi conto che ci guadagnano un po’ tutti. In primis le agenzie di intelligence che hanno molta piu’ facilita’ a rastrellare informazioni da una rete che e’ un colabrodo. E a dirlo non sono io: le rivelazioni sull’NSA hanno messo in chiaro come le tech companies siano spesso complici nell’accomodare le necessita’ delle rispettive agenzie governative. Poi ci sono le imprese che trafficano in spyware e che hanno interessi economici concreti, ovvero la vendita di vulnerabilita’ e di report d’intelligence in esclusiva a esecutivi e istituzioni militari (si tratta di una pratica piuttosto comune); last but not the least il mercato della security commerciale, che aumenta la sua clientela grazie allo stato penoso in cui versano le infrastrutture comunicative globali. Si tratta di una condizione ambientale necessaria per la crescita del mercato. Anzi, potremmo dire che l’industria della sicurezza diventa piu’ un’industria dell’insicurezza dato che prospera in larga parte sulla destabilizzazione delle reti di telecomunicazione e non sulla ricerca o sullo sviluppo di soluzioni che possano eliminare alla radice una serie di problematiche note.

Di contro, se anche solo una frazione dei miliardi che vengono buttati nell’acquisto di gadget inutili fossero investiti in processi di sviluppo e auditing di software sicuro – do you remeber Heartbleed? – e, piu’ in generale, in alternative open source, l’attuale mercato della security collasserebbe nel giro di una notte. Certo, anche la costruzione di infrastrutture open source presenta problematiche inevitabili, anche perche’ in questo momento si basa largamente su lavoro volontario. Ma la tendenza ad adottare tecnologie proprietarie per me rimane un mistero. Come puoi pensare di realizzare un’infrastruttura sicura se non hai neppure il controllo del codice che utilizzi per implementarla?

Intervista a Claudio ‘Nex’ Guarnieri, parte 1

lunedì, Settembre 8th, 2014

E’ apparsa sul Manifesto di qualche settimana fa un’intervista a Nex, un ricercatore del progetto citizenlab.org. Qui di seguito c’e’ la versione completa della chiaccherata rivista dall’autore dell’articolo (ctrlplus.noblogs.org, twitter.com/ctrlplus_) per cavalette. La pubblichiamo in 2 puntate perche’ e’ piuttosto lunga.

Secondo noi e’ interessante per due motivi:

1) Delinea una visione critica del mondo della sicurezza informatica visto dall’interno.

2) Citizenlab fa un gran lavoro sui malware come strumento di controllo, spesso rivolto nei confronti di attivisti politici.
In Italia si sta tentando di inserirli nella legislazione come “Captatori Informatici” (un termine che rimanda agli “Elaboratori Computazionali” e ai tecnici in camice bianco…), perche’ malware, backdoor, trojan suonavano evidentemente male.

(altro…)