Contributi fiorentini ( I parte )

Quelli che seguono sono degli appunti riassuntivi di un intervento tenuto presso l’universita’ di Firenze nell’ambito di una serie di iniziative sul tema sicurezza, paura, controllo. A parlare e’ la professoressa Gabriella Paolucci (sociologa).
Nei prossimi giorni aggiungeremo anche i riassunti degli’interventi di Giuseppe Campesi (universita’ di Bologna) e quello dell’avvocato Luca Santini di Roma (intervenuto presso lo stabile occupato di viale Matteotti a Firenze in particolare sulle norme riguardanti i migranti del nuovo pacchetto sicurezza).

Il pacchetto sicurezza attuale e’ in continuita’ con i precedenti ed e’ in linea con quanto realizzato dai governi sia di destra che di sinistra negli ultimi 10 anni.
I pacchetti sicurezza sono degli accordi fatti tra enti locali e governo, con poca pregnanza giuridica, ma grande importanza simbolca, ideologica. Sono incentrati su una dimensione urbana, riferiti alla citta’. La tematica non e’ nuova. E’ sempre esistita una questione della difesa della polis, di coloro che risiedono dentro le mura della citta’, da un nemico esterno. La fonte della paura oggi sembra pero’ essere tra di noi, aver valicato le mura di cinta e vivere all’interno. La citta’ e’ un territorio circoscritto nel quale noi viviamo a contatto con i presunti portatori di insicurezza. La paura e’ sempre stata un utile strumento di dominio, l’attuale questione sicurezza puo’ senza dubbio essere letta in questo senso, ma assume un significato talmente ampio, da costituire un campo di studio a se’ stante.
Per chiarire la questione e’ utile affrontare il problema in primis da un punto di vista lessicale. Il termine sicurezza muta negli ultimi 15-20 anni, in questo lasso di tempo avviene uno slittamento semantico. Per sicurezza prima si intendeva ad esempio la sicurezza sociale, una parte importante del welfare state. Oppure la sicurezza sul/del lavoro. Mentre oggi aprendo i quotidiani o guardando la televisione immediamente associamo al termine sicurezza soggetti come i writers, gli immigrati oppure concetti come il degrado. In questi anni si e’ costruito un campo semantico a supporto di questo nuovo sistema discorsivo.
A partire da questo sistema si producono delle azioni. I patti per la sicurezza sono una delle produzioni di questo meccanismo. Ad esempio nel momento in cui si sostiene che il delitto commesso da un immigrato e’ piu’ grave di uno commesso da un cittadino italiano, si innesca un discorso che impatta sul nostro sistema normativo.
Le delibere sui lavavetri prodotte a Firenze sono un ottimo esempio di artificio discorsivo per legare delle persone che puliscono i vetri delle macchine ai semafori con il termine sicurezza. Un altro esempio sempre legato a Firenze e forse ancora piu’ chiaro e’ l’ordinanza che vieta di mendicare seduti o sdraiati in terra. Quale problema di sicurezza risolvono queste ordinanze e cosa c’entrano con la sicurezza un lavavetri o un mendicante ?
Oltre a queste produzione discorsive bisogna tenere di conto le produzioni materiali, ovvero il mercato della sicurezza. Lobby produttrici di meccanismi di sicurezza spingono le forze politiche ad approvare norme per incentivare l’adozione di strumenti utili alla protezione della proprieta’ (dai lucchetti alla telecamere). Dal 1999 al 2004 in Italia il tasso di crescita di questo settore e’ il piu’ alto. Una crescita simile si registra anche nel resto dell’Europa, al di fuori della Gran Bretagna, che aveva pero’ gia’ un mercato per questo settore molto sviluppato.
Inizialmente i principali soggetti coinvolti erano le banche, poi subentra come attore fondamentale lo stato nelle sue varie articolazioni (comuni, regioni, forze di polizia) e diviene il principale acquirente.
A cosa serve pero’ questa costruzione artificiosa dell’insicurezza ? Al di la’ di offrire una qualche fonte di guadagno per un settore di mercato, ed un’opportunita’ per spendere soldi pubblici ? La risposta e’ duplice. In primis il controllo del conflitto sociale.
In occidente non c’e’ un conflitto sociale aperto, ma ci sono oggettive condizioni di insicurezza economica, esistenziale, che spingono il potere a mettere le mani avanti. Se rileggiamo la questione dei writer in questo senso, possiamo immaginare che in una situazione di conflitto sociale piu’ aspro le scritte sui muri assumeranno una connotazione piu’ apertamente di contestazione. Averle gia’ etichettate fin da ora come qualcosa di indesiderabile, di socialmente inaccettabile, significa preparare il terreno per gestire e delegittimare il conflitto sociale e le forme che potrebbe assumere. Anche le norme anti ultras possono essere lette in questo modo.
Strettamente legato a questo aspetto c’e’ la seconda questione: il controllo della forza lavoro. Su questo si gioca tutto il problema dell’immigrazione. L’immigrato senza permesso di soggiorno viene descritto come il nemico, la fonte di insicurezza per eccellenza, un pericolo. Non si capisce pero’ in realta’ quale pericolo possa rappresentare, tutto si gioca su un piano di violenza simbolica, descritta a grandi lettere nei media.
Si alimenta cosi’ un conflitto tra la forza lavoro autoctona e quella immigrata irregolare teso a facilitare il controllo di entrambe le parti. Wallerstein fa un analisi del razzismo proprio in quest’ottica. Mostrando come il razzismo sia una costruzione ideologica tesa allo sfruttamento dei settori deboli della forza lavoro internazionale.
La sponda “progressista” piu’ avanzata legata a questo concetto di sicurezza utilizza ora il termine “insicurezza percepita”. La cosidetta microcriminalita’ e’ in realta’ in calo costante dall’inizio del ‘900 ad oggi, e non esiste alcuna emergenza microcriminalita’, tanto meno negli ultimi 30 anni. Di fronte a queste palesi smentite delle basi stesse dell’ideologia della sicurezza, pur di far sopravvivere il concetto si e’ iniziato a parlare di “insicurezza percepita”, ovvero di quella insicurezza costruita a tavolino che popola salotti e telegiornali.

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