Una mazza da hockey per natale
Le ultime settimane del 2009 sono state interessanti per capire alcuni meccanismi dell’ambiente politico e mediatico in cui viviamo. Il duomo in faccia a Berlusconi ha riaccesso un dibattito su Internet, sulla circolazione delle informazioni, sulla violenza che a tratti appare e scompare dal calendario dei nostri politici. Al di la’ dei richiami alla censura, all’autocensura, alla forca e alla gogna, ci sono alcuni passaggi interessanti dei quali pero’ non ho letto molto. Il ministro maroni dopo le necessarie e prevedibili sfuriate ispirate dallo sforzo per mantenere il membro in erezione come si addice ad ogni bravo leghista, e’ stato ricondotto alla concertazione con le grosse realta’ commerciali che su Internet hanno costruito le loro fortune.
Non si parla piu’ di decreti legge, di disegni di legge, ma di codice di autoregolamentazione. Gli stati e le multinazionali della rete hanno innescato da un po’ di tempo un processo dialettico, fatto di azioni legali, minacce, movimentazione di capitali e risorse. Le nostre liberta’ si legano a filo doppio con la sopravvivenza di realta’ commerciali. E’ una strana sensazione, per nulla piacevole. Si parla di accordi, magari poco formalizzati per la rimozione dei contenuti dal web. E’ interessante come prospettiva, perche’ apre ad un’ampia gamma di interventi sui contenuti in rete, e sulla convergenza degli interessi dell’autorita’ politica e dei gruppi dove si concetrano denaro e potere.
Una convergenza non troppo rigida, dalla quale ci si puo’ svincolare con facilita’, ma che consente di innescare un meccanismo di controllo forse piu’ funzionante e funzionale. Una legge fatta dallo stato italiano su Internet sarebbe rimasta lettera morta, magari avrebbe suscitato grosso scalpore e scandalo e avrebbe fatto gridare al regime. Ma sarebbe stata di fatto inapplicabile. Un accordo transnazionale con quei soggetti che hanno un interesse su Internet invece e’ qualcosa di complesso, ma ben piu’ temibile. Da dirlo a farlo, ci sono pero’ in mezzo un infinita’ di variabili.
E’ interessante invece che questo fatto sia stato recepito anche da molte voci critiche in rete, come un “ah, ma vedi che alla fine fanno solo qualche piccolo intervento mirato contro i violenti sul web… un po’ come per la pedopornografia e il gioco d’azzardo”. Oppure spesso non sia stato per nulla compreso e semplicemente si continui a gridare al ventennio, senza capacita’ di produrre un’analisi convincente. Si invoca uno spauracchio, come recitare un rosario.
Esiste poi un discorso piu’ ampio sul concetto di violenza, su come il nostro mondo produca una sorta di desiderio frustrato di violenza, che deve essere continuamente sedato, sopito, e nel tentativo di celarlo a noi stessi, si incancrenisce. Non a caso gli interventi sugli ultras sono stati la prova generale per il controllo delle piazze, si parla di una sorta di daspo per le manifestazioni. Laddove la violenza frustrata potrebbe esplodere si interviene, per farla scomparire. L’entourage politico si sente minacciato e offeso perche’ nelle chiacchere da bar su facebook le persone ridevano allegramente per la faccia spaccata del premier. Non e’ diverso da quello che avranno fatto milioni di italiani nelle loro case. Si tenta allora questa banale e scontata manovra di ingegneria sociale applicata alla rete, dandosi la possibilta’ di controllare gli eccessi, quando indesiderati, di far scomparire le tracce della violenza.
In questo senso il mondo dello stadio e’ veramente lo specchio della societa’. Dopo un apice di guerra tra le tifoserie, la percentuale di scontri tra ultras scende, e aumentano gli scontri con le forze dell’ordine, si passa da Spagnolo a Raciti. A questo punto l’applicazione del decreto Pisanu, gli stadi si trasformano in gabbie, la violenza si vede meno, ma tutta la gestione istituzionale dell’ambiente stadio, sembra strutturata per generarla. Se la curva diventa un luogo invivibile, la violenza transitera’ altrove.
E’ successo qualcosa di simile negli anni ’70 con la violenza politica, dalle piazze alle repressione. Parte di quella violenza e’ transitata nelle curve, altra finita chissa’ dove, ingoiata e poi risputata in qualche altro luogo o rivolta verso se’ stessi.
in qualche forma di autolesionismo. Il nostro mondo coltiva un profondo rifiuto formale della violenza, a dispetto di una societa’ fortemente competitiva, che macina e genera violenza in mille modi, ma quando raggiunge la dimensione materiale, fisica, viene respinta come esterna al corpo sociale, come se non facesse parte del nostro quotidiano.
Diviene impossibile cosi’ chiamare le cose con il loro nome, ricondurle a fatti intepretabili senza isteria, senza invocare l’emergenza continua. Diviene impossibile ragionare sui nostri modi di vita, e’ tutto diviene un calderone di immagini e parole filtrato dai media, ingoiato dalla mediocrita’, insaporito con lo sputo di qualche multinazionale e rigurgitato in testa a tutti noi.
E’ difficile orientarsi in questo sistema complesso, col vomito che cola negli occhi: qualche volta penso mi servirebbe un bastone per ciechi, un modello simile ad una mazza da hockey, con un chiodo in punta.