Vetro a rendere

E’ passata una settimana e mi piace l’idea di scrivere adesso qualcosa sul corteo di sabato e su Genova. Ora che il rumore giornalistico, ha lasciato il posto al solito silenzio dei tribunali. Perche’ il g8 del 2001 in questi anni e’ stato piu’ che altro un lungo silenzio, interrotto ogni tanto da qualche lancio giornalistico.
Il corteo di sabato e’ stato senza dubbio molto partecipato, complice il rifiuto della commissione parlamentare, molte persone si sono mosse per venire a genova.Da un punto di vista emotivo, faceva un certo effetto girovagare per genova a dire “ti ricordi qui e ti ricordi la””, e i ricordi facevano tutti quanti schifo. Il freddo era tagliente questa volta, ma gli animi non erano gelati.Ci sono state altre iniziative in questi anni, tanti libri e tanti video, ma quella protesta sembra ancora sospesa in uno spazio che fluttua. Io ricordo quel g8 essenzialmente come qualcosa di faticoso, di triste, e di emotivamente forte. Avevo vinto un erasmus a tenerife, mi ero anche licenziato dal lavoro, sarei dovuto partire a settembre,ma tornato da genova ho fatto la rinuncia, perche’ ne avevo viste troppe, per pensare di partirmene. Ho anche ritrovato lavoro. E cosi’ non ho mai imparato lo spagnolo e neanche fatto l’orgasmus. C’e’ a chi e’ andata peggio.

Quel g8 fu anche la prima volta in cui realizzai con una certa chiarezza, che il nostro buffo mondo, non e’ assolutamente in grado di relazionarsi con la violenza se non con atteggiamenti psicotici. Qualche millenio di storia umana ha evidentemente lasciato nel nostro inconscio collettivo un’ombra, che non siamo in grado di affrontare in nessuna maniera.
E’ strano dirlo parlando di genova 2001, ma noi non viviamo in una societa’ che propone scenari esclusivamente repressivi. Sarebbe troppo facile. Il nostro mondo e’ peggio di cosi’. La maggior parte delle persone che conoscevo andavano al g8 con la morte nel cuore, dopo aver visto napoli, gli spari a Goteborg, si andava mossi da qualche strana velleita’ di giustizia sociale, credo, o forse solo perche’ ci andava il tuo amico/a e mica lo potevi lasciare da solo in mezzo a quel troiaio. Dopo 2 fitti mesi di terrorismo giornalistico e mediatico, nessuno si aspettava una passeggiata. Quello a cui non ero pero’ preparato era la reazione alla violenza della nostra mente collettiva. Non nostra nel senso di manifestanti, ma intesa in senso generale. La violenza genera un corto circuito emotivo di fronte al quale la realta’ si cristallizza e poi esplode in mille schegge, impossibili da rinsaldare. Dove ogni ragionamento puo’ assumere risvolti insospettabili.Si puo’ partire da un punto a caso e arrivare ad un morto, con estrema naturalezza. Tutto inizia a fluttuare. Una vetrina per me e’ un luogo posto dietro un vetro nel quale solitamente si espongono le merci perche’ il cliente le possa vedere. Io non riesco a piangere per una vetrina. Posso immaginarmi che il possessore di una vetrina si arrabbi se qualcuno gliela rompe. Posso capire che ad un panettiere dispiaccia che la sua vetrina venga rotta in una protesta contro il g8 e che lui si chieda, “ok ragazzi, ma io che ho fatto ?”. Mi riesce molto piu’ difficile calarmi nella parte dell’impiegato di banca che piange la vetrina fume’ della sua filiale. Non credo che nessun impiegato di banca abbia un motivo razionale per piangere la propria vetrina, che poi non e’ sua, ma della Banca. Con la B maiuscola, cioe’ di un istituto di credito, che sotto garanzie, presta capitali avuti in deposito da altri. I soldi girano e con loro il mondo tutto. Potrebbe forse piangerla il dirigente della filiale ? Sono assicurati, e dopo una settimana ne avra’ una nuova, al prezzo di una telefonata. E poi lui era in giro in costa azzurra con la porche, che gli frega della vetrina ? Sicuramente dalla vetrina non esce sangue, o se esce e’ il tuo, che ti sei tagliato rompendola, e allora sei un po’ fava. La vetrina quando si rompe fa rumore, forse e’ questo che da molto fastidio, la scintilla che innesca nel cervello un senso di malessere, come quando il gessetto stride sulla lavagna. Sicuramente e’ un modo per catturare l’attenzione. Un po’ sporchera’ anche in terra, certo, anche questo da sicuramente parecchio fastidio, che uno poi non puo’ camminare con i sandali e d’estate fa caldo per le scarpe da ginnastica.
Da allora non ho piu’ parlato con nessuno di questa mia indifferenza per le sorti delle vetrine. Da dopo genova non si puo’ piu’ prescindere dalle vetrine, sopratutto nelle aule dei tribunali. Perche’ il nostro mondo e’ tutto li’ dietro, luccicante e in vendita. Non ha molto altro da offrire, poveretto, sta li’, cercando di sorridere, un po’ impaurito e preoccupato. E’ difficile vendersi bene con tutti questi pezzenti in giro. Fa freddo in vetrina, si e’ tanto soli, che ne sanno lor signori di cosa vuol dire stare li’ fermo dietro un vetro sottilissimo e fragile ? E’ pieno di spifferi, qui. Speriamo che un poliziotto spari, il suo proiettile venga deviato da una pietra, e, trafitto per “tragico errore” qualche lanzichenecco, colpisca in pieno centro questa fragile vetrina, cosi’ la cambiano con una antiproiettile in policarbonato e stiamo tutti piu’ al caldo.

No Responses to “Vetro a rendere”

  1. Anonimo Says:

    ciao ginox ;-)