Quando la privacy è un problema per gli affari

E’ curioso notare come in America si sia finalmente sollevato un polverone sugli effetti collaterali che la paranoia securitaria della destra statunitense sta aizzando nella società e nella legislazione del paese da ormai un decennio a questa parte (in effeti anche qualcosa di più): ovviamente il problema rispetto alla tutela della privacy e della sfera della riservatezza dei propri dati è emerso solo quando i grandi manager e i businessmen d’oltreoceano hanno scoperto che i servizi di sicurezza americani potevano copiare, sequestrare e trattenere i loro computer portatili senza dover addurre alcuna motivazione; il tutto grazie alle nuove legislazioni antiterrorismo che come noi tutti conosciamo fin troppo bene hanno in una decina di anni di fatto distrutto ogni parvenza di tutela dall’arbitrarietà dell’esercizio del potere (già in sé quasi un ossimoro, ma a volte già la formalità può essere una buona conquista di partenza).

Una situazione analoga a quella italiana, in cui dopo decenni e decenni di intercettazioni ai danni di chiunque, si grida allo scandalo solo quando a essere coinvolti in una palese violazione ingiustificata della sfera privata sono politici e grandi nomi delle industrie: in un consueto doppiopesismo dove le angherie subite da chi ha più soldi e potere sono più rilevanti di quelle subite tutti i giorni da centinaia di persone (doppiopesismo che ha il suo riflesso nella commissione delle pene detentive e pecuniarie, guarda caso!!). E’ curioso, ma nessuno ci fa mai caso… Peccato, no?

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